Piccoli piaceri che rischiarano le mie giornate
Le gioie semplici della mia cucina: torte fatte in casa, erbe spontanee e un piatto di spaghetti aglio e olio
Questa settimana ho quasi saltato la newsletter. Avevo la mente affollata di idee—ricette di stagione, riflessioni sulla cucina italiana e sull’appropriazione culturale, il linguaggio del cibo—ma mi sentivo distratta. Le notizie, un senso di inquietudine, alcune preoccupazioni familiari. Avevo bisogno di un reset, così mi sono affidata a due dei miei rimedi preferiti per ritrovare un po’ di chiarezza: una lunga passeggiata e un po’ di tempo nell’orto.
Poi ho letto l’ultima newsletter di
. Le sue parole riescono sempre a tirarmi su e a confortarmi, e abbonarmi a The Hyphen è stata una delle scelte di lettura migliori che abbia fatto. Non ne perdo mai un numero e le leggo sempre con curiosità. C’è qualcosa di stimolante nell’uscire dal mio solito ambito—rimanendo comunque nell’universo della creatività, della scrittura e del fare artigianale, ma in un contesto diverso dal cibo.Questa volta, il suo pezzo sui Little Treats ha risvegliato qualcosa. Leggendolo, all’improvviso ho sentito il bisogno di aprire una nuova bozza e scrivere dei miei piccoli piaceri culinari—quei momenti di gioia che illuminano le mie giornate.
Come Emma, credo che i treats debbano essere liberi da ogni giudizio. Non sono né ricompense né indulgenze, e tantomeno dovrebbero rientrare nella categoria dei guilty pleasures—un’espressione che, quando si parla di cibo, mi dà particolarmente fastidio. Una fetta di torta al cioccolato non dovrebbe mai essere considerata un piacere colpevole. Colpevole di cosa? Per chi? Sono solo piccole gioie, momenti di puro piacere.
E per te? Quali sono i tuoi piccoli treats, quei bocconi di felicità che rendono più speciali le tue giornate?
Ecco i primi cinque piccoli treats che mi sono venuti in mente, piccole gioie culinarie che rendono le mie giornate più luminose.
Avere una torta fatta in casa sul bancone della cucina
Non si tratta solo di mangiarla. È il gesto di prendersi il tempo necessario per prepararla—soprattutto con Livia, che vuole essere coinvolta in ogni singolo passaggio, gridando Io! Io! Io! Io rompo le uova! Io aggiungo la farina! Mescolo io! Decoro io con le fette di mela! E poi c’è quel fugace ma profondo senso di maturità, di essere responsabili delle proprie azioni, che nasce dalla soddisfazione di vedere una torta che hai appena fatto sul bancone della cucina. È come una pacca silenziosa sulla spalla, un sussurro che dice ce l’hai fatta, va bene così.
In questo periodo, la mia torta preferita è la torta di mele e olio d’oliva, come da almeno 8 anni a questa parte. Ma di recente mi è tornata in mente e ho rifatto questa torta alla banana (attenzione, non un banana bread, ma una torta alla banana, ispirata al moelleux à la banane francese, ed è semplicemente incredibile). Anni fa la adoravo. Mi piacerebbe riprendere una vecchia abitudine che avevo prima di Livia, prima del Covid, prima della vita sempre di corsa: scegliere un libro dalla mia libreria e preparare una torta nuova, così, solo per il piacere di farlo.
Sorseggiare un buon tè mentre scrivo.
Per essere un vero piccolo lusso, deve essere versato dalla mia teiera grigia da due tazze—quella che Tommaso mi ha regalato dopo il nostro viaggio di nozze in Scozia e Irlanda. Ogni mattina, durante quel viaggio, bevevo tè servito in teiere simili, e quel suo gesto così premuroso è stato un modo per prolungare quella sensazione impareggiabile di essere appena sposati, per portare un pezzetto di quei giorni nella nostra vita quotidiana. Quanto al tè, amo quelli verdi e bianchi aromatizzati delicatamente, i rooibos o i pu-erh arricchiti con erbe, fiori o spezie leggere. Ultimamente sto bevendo un pu-erh al limone e vaniglia e Amelie, un mix di tè bianco e verde con albicocca, boccioli di rosa, calendula e fiori di verbasco, entrambi di B.House a Quarrata, una torrefazione veramente interessante dove abbiamo imparato tantissimo sul caffè (ma questa è una storia per un’altra newsletter).
Preparare gli spaghetti aglio, olio e peperoncino—con la bottarga.
Questo è un piccolo piacere che mi concedo quando sono sola. Di solito cucino il pranzo per me e Tommaso e la cena per tutti e tre, ma quando Tommaso non è a casa, il pranzo diventa un momento speciale—qualcosa che preparo con cura. Scelgo quasi sempre gli spaghetti aglio, olio e peperoncino—probabilmente una delle ricette più semplici della cucina italiana, eppure tra le più gratificanti e da sempre tra le mie preferite.
Mentre gli spaghetti cuociono nell’acqua bollente, raccolgo l’aglio tagliato sottilissimo—quasi trasparente, è importante—e lo metto in una padella con abbondante olio extravergine di oliva. Dato che la mia tolleranza al piccante è piuttosto bassa, aggiungo giusto un pizzico di peperoncino, quel tanto che basta per scaldare il palato. Riscaldo l’olio a fuoco moderato, muovendo la padella per far sì che l’aglio rilasci lentamente il suo aroma, diventando appena dorato. Bisogna stare attenti a non bruciarlo.
Spengo il fuoco e, nel frattempo, trito un po’ di prezzemolo fresco. Quando gli spaghetti sono al dente, li scolo, tenendo da parte un mestolo della loro acqua di cottura. Li salto nella padella con l’olio e aggiungo l’acqua tenuta da parte, così da creare un’emulsione che avvolge perfettamente la pasta. A questo punto, una spolverata di prezzemolo e una generosa grattugiata di bottarga—quel gusto umami profondo che adoro concedermi in un giorno qualunque.
Mescolo impaziente, lasciando che il calore della pasta sciolga leggermente la bottarga, poi affondo la forchetta. Un piccolo piacere quotidiano che, mentre scrivo, mi fa venire l’acquolina in bocca.
Un’insalata di erbe spontanee.
In una insalata di erbe spontanee, l’amaro delle foglie di tarassaco e della cicoria selvatica si mescola alla freschezza della pimpinella, la mia erba preferita, con il suo sapore che ricorda noci e cetriolo.
Ho imparato ad apprezzare le erbe spontanee grazie a nonna Marcella e a un paio di passeggiate fatte nei primi anni del blog, quando ero affamata di conoscenza sulla cultura gastronomica della mia terra. Oggi, che nonna ha quasi 97 anni, non ricorda più i nomi di quelle erbe che un tempo sapeva distinguere con maestria, né il loro sapore, e a volte neanche la sua straordinaria capacità di raccoglierle.
Così cerco di custodire quel poco che resta, integrandolo con le lezioni di libri e amici esperti, sperando di diventare una forager moderna. Più di tutto, voglio tramandare questa conoscenza a Livia, per preservare un pezzo del mondo di nonna.
Ogni volta che raccolgo e mangio una di queste insalate, assaporo non solo il loro gusto unico, ma anche il tempo e le competenze necessarie per crearle, e il profondo legame con la terra in cui vivo. Mangiare la natura, selvatica e locale, non è affatto un lusso insignificante ai miei occhi.
Un nuovo vasetto di confettura fatta in casa.
La mia dispensa è il mio orgoglio: è il mio modo di conservare le stagioni, catturare sapori fugaci e custodire ricordi. Amo aprire un nuovo vasetto di confettura, con il contenuto scritto in stampatello con un pennarello bianco, insieme al mese di produzione. Fragole, maggio 24. Susine, agosto 24. Frutta mista, estate 23.
Quest’ultima è una delle mie conserve preferite, perché racchiude il sapore autentico di una stagione: una confettura nata dalla frutta rimasta nella fruttiera alla fine dell’estate. Porta con sé l’essenza di quell’estate: la frutta che abbiamo amato di più, la sfumatura particolare che ha preso la mia pelle dopo mesi di braccia scoperte, il vocabolario di Livia che si arricchiva ogni giorno mentre descriveva il mondo intorno a lei, il profumo dell’erba cotta dal sole a mezzogiorno.
Mesi dopo, apro un vasetto e tutti questi momenti riaffiorano. Un cucchiaino per Livia—il mio instancabile controllore della qualità della colazione—uno sul mio pane tostato, uno nello yogurt di Tommaso.
Sul blog trovi il mio metodo per fare la confettura di frutta.
Adesso tocca a te: quali sono i tuoi piccoli piaceri culinari? Raccontamelo nei commenti, mi piacerebbe scoprirli!
In arrivo
Preparati a un risotto classico e a un risotto in pentola a pressione!
Un momento particolare, a cui rinuncio solo in caso di forza maggiore, è quello della colazione del mattino. Mi alzo piuttosto presto e, dopo aver foraggiato le mie tre gattine che mi accompagnano da molti anni, mi preparo la colazione. Quella che preferisco è fatta da una semplice fetta di pane fatto in casa, su cui spalmo uno strato generoso di marmellata, rigorosamente fatta in casa, accompagnata da una bella tazza di latte fumante con dentro del buon caffè.
Oppure, concedermi una fetta di panforte (quello che ho imparato da te) dopo il caffè preso dopo pranzo.
Ciao Giulia, When I, too, think of a simple meal, I think of Agilo e olio peperoncino. Unfortunate, it is difficult to get Bottarga here, so I use parmigiana instead. I loved when you said you used to go through a cookbook and find a recipe for a torta that you hadn’t made before and make it just for the fun of it. I used to do that a lot and now, not because I don’t have the time, but because I forgot how much fun it could be. Thank you for reminding me!! I’ve told you before and I will tell you again, I love the way you write. I wish I could come to the Val d’Este to meet you and enjoy one of your classes, but, I’m afraid my age precludes me from doing that. So, I am content to enjoy your beautiful newsletters and occasionally join you in one of your Sunday Zoom classes. (BTW, I read Italian better than I write it, ergo, I write in English).