L'Italia fuori stagione
L'Italia vive d'estate nell'immaginario collettivo. Proviamo a creare un immaginario diverso con 10 istantanee dell'Italia fuori stagione
Facciamo un gioco. Se ti chiedo di pensare a un’immagine rappresentativa dell’Italia, cosa vedi? Dove sei? Cosa stai facendo? Scommetto che, nove volte su dieci, la tua mente dipingerà un sogno estivo italiano.
L’Italia, nell’immaginario collettivo, vive d’estate.
Spiagge assolate, il sollievo dell’acqua fresca di una fontana in una piazza circondata da edifici storici eleganti, una corsa in Vespa lungo strade bianche e sinuose—magari con un vestito a fiori che svolazza nel vento. Stabilimenti balneari affollati, piatti di spaghetti con le vongole, un espresso o un aperitivo sorseggiato su una terrazza inondata di sole, una caprese condita con olio buono e foglie di basilico fresco, una passeggiata serale con un gelato in mano, fette di anguria croccante su una tovaglia di lino bianco, con il sole che filtra tra i rami di un ulivo. E poi pomodori—tanti pomodori.
Qualche anno fa, su TikTok e Instagram è esploso il trend della Tomato Girl aesthetic. Uno stile romantico e ispirato al Mediterraneo, che incarna la bellezza estiva senza sforzo e un’atmosfera rilassata, baciata dal sole, con un tocco vintage anni ‘50 e ‘60. Radicata in un immaginario spesso associato alla costa italiana, questa estetica richiama nostalgia e semplicità. Pensa alle dive del cinema come Sophia Loren e Monica Vitti, alle mete da sogno di un’estate italiana—la Costiera Amalfitana, la Sicilia, la Toscana—alle strade acciottolate, ai borghi sul mare, ai mercati traboccanti di prodotti freschi, con l’immancabile cestino di vimini al braccio. Se fosse un film, sarebbe La Dolce Vita o Chiamami col tuo nome.
Questo trend ha contribuito, e continua a portare in Italia frotte di turisti, tutti alla ricerca della cartolina estiva perfetta.
Ho fatto una ricerca su Pinterest digitando Italian aesthetic, e indovina cosa ho trovato? Le prime tre foto ritraevano la Riviera italiana, una ragazza che legge un libro in spiaggia e un piatto di spaghetti perfettamente abbinato ai colori di un ombrellone di un lido.
Ma non è solo una questione di narrazione online. Se mi chiedessi di pensare al cibo più rappresentativo dell’Italia, la mia mente andrebbe subito a una ciotola di pomodori maturi illuminati dal sole del tardo pomeriggio o a una fetta di pane e olio. Ebbene sì, anche i miei pensieri si allineano naturalmente alla Tomato Girl aesthetic. E questo mi fa un po’ paura.
Pur riconoscendo che gli ingredienti estivi sono i miei preferiti, non riesco a resistere al conforto di una ciotola di ribollita—densa, avvolgente e nutriente—o all’amaro rigenerante di un’insalata di radicchio e arance rosse, un piacere per gli occhi e per il palato.
C’è magia, fascino e una buona dose di romanticismo anche nella bassa stagione italiana e nell’inverno.
Il mio obiettivo di oggi, quindi, è quello di creare un immaginario diverso, attraverso dieci istantanee dell’Italia fuori stagione.
Ho chiesto ad amiche e colleghe di partecipare e aiutarmi a dipingere dieci vignette d’Italia nei suoi mesi più tranquilli. Se tutti insieme contribuiamo a raccontare un’Italia sotto la pioggia, avvolta dalla nebbia, sotto un cielo invernale terso o nel mezzo di una tempesta sulla costa, daremo vita a un’immagine più ampia, meno scontata, più autentica e affascinante del noesto paese.
Ho capito di dover scrivere della Toscana—e, per estensione, dell’Italia—fuori stagione in un tardo pomeriggio a Siena, sotto una pioggia fitta. Camminavo a testa bassa per le strade deserte, le pietre del selciato scure e lucide che riflettevano la luce soffusa dei negozi. Era stato babbo a farmi scoprire il fascino discreto di Siena in quei momenti. Lui ha trascorso in questa città parte degli anni delle superiori e, quando iniziai l’università a Siena, mi rivelò un piccolo segreto: Goditi la magia di Siena di sera, sotto la pioggia.
La newsletter di oggi nasce da una riflessione che ho fatto con i miei lettori stranieri, perché è inutile che diciamo che il turismo deve spostarsi nella bassa stagione se noi siamo i primi a non raccontare con la stessa enfasi e romanticizzazione anche quei mesi in cui l’Italia passa un po’ in ombra. Quei mesi in cui torna un po’ più nostra, un po’ più autentica.
La newsletter di oggi è uscita anche come podcast, in inglese, e la puoi ascoltare qui:
Tu cosa avresti incluso? Mi piacerebbe leggere anche una tua istantanea dell’Italia, della tua regione, del tuo paese o di una zona che hai visitato in bassa stagione.
10 vignette sull'Italia in bassa stagione
1. Un mercato in inverno
I banchi del mercato sono stracolmi di mazzi di carciofi spinosi, dalle sfumature viola e verde scuro, le foglie più grandi sparse a terra, come dopo una battaglia. Accanto ai carciofi, un tripudio di verdure amare in tutte le tonalità di verde—cicoria, puntarelle, tarassaco, cime di rapa, scarola e cavolo nero—ognuna con il suo particolare grado di amarezza. Al centro della scena, il radicchio sembra più un fiore che un cespo di insalata: le foglie arricciate, viola e bianco crema del radicchio tardivo sono disposte accanto al radicchio variegato, un verde pallido screziato di viola, e al radicchio rosa, apprezzato per il suo colore tenue e il sapore delicato, leggermente amaro.
Tra la frutta, gli agrumi dominano la scena: le ultime clementine, dolci e senza semi—amatissimi dai bambini, o per lo mano dalla mia—, le grosse sfere delle arance Navel, succose e zuccherine, le mie preferite, e le tarocco, le arance rosse siciliane perfette per insalate e spremute.
L’aria è impregnata del profumo di pollo arrosto cotto sullo spiedo, mentre al banco dei formaggi il venditore serve cucchiaiate di Gorgonzola cremoso spalmato su fette di pane spesse, invitando tutti a un assaggio.
Sono lontani i giorni in cui il mercato era invaso dall’odore penetrante dei meloni maturi e dal rosso acceso dei pomodori, accatastati sui banchi in ogni forma e dimensione. Eppure, adoro il fascino discreto e autentico di un mercato invernale, dove l’amarezza e la freschezza delle verdure di stagione sono il bilanciamento perfetto alla ricchezza dei piatti confortanti che cucino a casa.
2. La nebbia di Volterra
In un sabato mattina d’inverno vai a Volterra ed entra nel Palazzo dei Priori, il più antico palazzo comunale toscano. Sali fino in cima alla torre e affacciati dalle finestrelle. Molto probabilmente Volterra sarà avvolta da una nebbia densa e misteriosa, una delle sue caratteristiche più affascinanti. Tutto intorno il colore dei mattoni e la nebbia bianca e, al di sotto, i colori di un mercato brulicante e pieno di vita. Non sorprende che, nella saga di Twilight, Volterra sia stata scelta come l’antica città italiana in cui risiedono i Volturi, un clan potente e antichissimo di vampiri.
Un ex sindaco di Volterra mi raccontò che spesso i turisti lo fermavano per chiedergli se la nebbia venisse posizionata intenzionalmente nei vicoli stretti del centro storico—tanto era il fascino inquietante che regalava a questa città medievale, la cui storia affonda le radici nell’epoca romana ed etrusca. Gli Etruschi, poi, sono una delle civiltà antiche che ancora oggi continuano a incuriosire studiosi di tutto il mondo.
Ecco, per respirare questo mistero e questa magnetica bellezza di Volterra non c’è niente di meglio di una passeggiata in una mattina d’inverno.
3. Le frittelle di riso in Piazza del Campo a Siena
I senesi, gli studenti e i pochi turisti che in questo periodo dell’anno sono costretti a passare tra i vicoli sempre in ombra si infilano le mani nelle tasche per trovare un po’ di calore e nascondono il viso dentro una sciarpa di lana, per proteggersi dagli spifferi gelati. Il sole non ce la fa a scaldare fin giù, tra gli antichi palazzi medioevali, e così le persone camminano veloci, tutti con qualcosa di urgente da fare, amici da visitare, o appuntamenti che non si possono rimandare.
Nell’aria fine dell’inverno, da metà gennaio fino a San Giuseppe, si sente un odore misto di fritto e zucchero. È il banchino delle frittelle di Siena, una struttura in legno, dall’aria quasi montana, che per un mese o poco più appare nello scenario di Piazza e vende quelle che per me sono le frittelle più buone al mondo.
Dentro i pasticceri friggono senza sosta enormi quantità di frittelle in padelle gigantesche, appoggiate su quelli che sembrano antichi calderoni, e le lasciano cadere una dopo l’altra nell’olio bollente con una velocità incredibile, data dall’esperienza e dalla coda di gente che aspetta il suo turno.
Poi arrivano le frittelle, avvolte in un cartoccino di carta bianca, zuccherate abbondantemente sul momento. Finalmente ci si tolgono i guanti, con atteggiamento di sfida all’aria gelida, e si infilano le dita nel cartoccio a staccare una frittella dall’altra. Bruciano, ma vanno mangiate immediatamente, per assaporarne il guscio croccante che fa scoprire subito la sorpresa di una frittella quasi vuota, leggerissima.
4. The Enchantment of Northern Italian Winter, di , autrice di e
I due bambini corrono avanti, gridando di gioia mentre si lanciano nel prato aperto. Noi adulti, ancora intenti ad arrancare lungo il sentiero di pietre antiche incastrate come un puzzle in salita, riprendiamo fiato e affrettiamo il passo per raggiungerli. Davanti a noi si apre una radura coperta di neve, con un piccolo laghetto ghiacciato. Un olmo solitario, maestoso e spoglio, sovrasta i bambini che già scivolano felici sul ghiaccio, mentre un cavallo bianco pascola nelle vicinanze. Tutto è respiro gelido e risate cristalline.
Questo è il Lago di Como a gennaio. Le ripide montagne che abbracciano il lago nascondono antichi sentieri che si arrampicano e si snodano attraverso i boschi. Lungo i percorsi si incontrano le baite, le caratteristiche casette di montagna.
La nostra meta è proprio una di queste, una piccola baita in legno dall’altro lato della radura. Ci incamminiamo nella neve verso il suo tepore invitante, attirati dal fumo che esce dal camino. Spingiamo la porta che scricchiola sui cardini e veniamo avvolti da un aroma inebriante: burro sfrigolante, formaggio fuso e legna che arde nel focolare.
Qui regna la rustica cucina del Nord Italia, e l’inverno è il momento perfetto per assaporarne i piatti più tradizionali, come i pizzoccheri filanti e la polenta uncia al burro, proprio come vanno gustati: dopo una camminata in montagna, accanto a un fuoco scoppiettante. E così facciamo.
5. The fanove in Puglia, di , autrice di
Se dovessi scegliere un profumo per descrivere l’inverno in Puglia, sarebbe quello del fumo della legna d’ulivo che si alza dai camini dei borghi antichi. Un aroma affumicato si mescola al sentore terroso dei vicoli lastricati di pietra, ancora umidi di rugiada, e alla freschezza pulita del sapone di Marsiglia sprigionata dal bucato steso ad asciugare.
Gennaio, dopo i mesi della raccolta delle olive, è il tempo della potatura. I rami improduttivi vengono tagliati per dare più luce e aria agli alberi, ma anche per fornire legna da ardere per le fredde notti invernali. In Puglia, questo è anche il periodo dei falò, che a gennaio assumono un significato speciale: un rito propiziatorio per l’inizio del nuovo anno agricolo.
A Castellana Grotte, il 10 e 11 gennaio, le fanove illuminano la città in onore della Madonna della Vetrana, protettrice contro la peste. Enormi falò ardono nelle piazze e nelle campagne, mentre la comunità si riunisce per condividere cibo e tradizioni: frittelle bollenti, salsiccia zampina, caciocavallo impiccato e vino locale.
Le scintille si alzano nel cielo, trasportate dal vento, confondendosi con il persistente profumo affumicato della legna d’ulivo—un richiamo sensoriale al calore e alla magia dell’inverno in Puglia.
6. Il Carnevale in Sardegna, di , autrice di
È inverno in Sardegna, ma nulla dorme davvero. Subito dopo l’Epifania, Cagliari si riempie di un profumo che scalda la stagione: l’aroma dolce e fritto delle zeppole cagliaritane, morbide spirali di semola di grano duro e zafferano, a volte arricchite con fil’e ferru, l’acquavite sarda un tempo illegale. Questo impasto soffice si gusta al meglio quando è ancora caldo, passeggiando per il centro città, mentre l’aria alterna raffiche pungenti a raggi di sole che invitano a raggiungere il Poetto, ai piedi della Sella del Diavolo.
Nel cuore dell’isola, invece, risuonano suoni antichi. Dal 17 gennaio, con i fuochi di Sant’Antonio Abate, la Sardegna annuncia l’arrivo del Carrasegare, il carnevale: campanacci che rimbombano come tuoni tra le montagne, maschere grottesche che danzano con la terra e con il mistero. Qui, il confine tra uomo e natura svanisce in un rito ancestrale, che celebra lo spirito rurale più autentico e indomito.
7. Una cartolina dall’Abruzzo, di , autrice di
Le mie due stagioni preferite in Abruzzo sono il tardo autunno, subito dopo la vendemmia e la raccolta delle olive, e il tardo inverno, poco prima che la primavera esploda. Ai piedi degli Appennini, una foschia sottile avvolge spesso il paesaggio, l’aria è pungente e impregnata del profumo del fumo di legna. Scelgo un paese tra le colline, verso le montagne, possibilmente uno in cui non sono mai stata prima, salgo in macchina e parto. Ci sono così tanti borghi abruzzesi, scavati nella pietra o costruiti con mattoni, con strade silenziose, anziani che si ritrovano in piazza e luci calde che invitano all’interno di un bar o di una trattoria.
In uno di questi viaggi lungo le strade secondarie, partendo da casa mia a Penne, mi ritrovo a La Lanterna, a Castiglione Messer Raimondo. Come suggerisce il nome, questo piccolo bar, dipinto di giallo e affacciato su una piazza lunga e tranquilla, è come un faro. Sul retro, una vista mozzafiato sulle colline, che si perdono all’orizzonte. All’interno, è molto più di un semplice bar: sotto un soffitto a volta, alcuni tavoli accolgono chi vuole fermarsi a mangiare. Il menu propone i piatti tipici della tradizione abruzzese—gnocchi al sugo, spaghetti alla chitarra e, se si è fortunati, le scrippelle ‘mbusse, sottili crespelle arrotolate e immerse in brodo, preparate dalla madre del proprietario. Per me, la quintessenza dell’esperienza abruzzese.
8. L’inverno a Roma, di , autrice di
L’inverno è la stagione segreta di Roma. È l’unico periodo dell’anno in cui la città non è completamente invasa dai turisti, e il clima è generalmente mite. Quando splende il sole, è piacevole passeggiare all’aperto e osservare come la luce soffusa illumina le cupole delle chiese e le fontane di marmo, avvolgendole in un bagliore dorato.
Adoro quando qualcuno viene a trovarmi in inverno, perché posso mostrargli angoli della città che altrimenti potrebbe non notare. Il mio luogo preferito per una passeggiata senza fretta è Via Margutta, la strada acciottolata tra Piazza del Popolo e Trinità dei Monti, un tempo conosciuta come la via degli artisti. Mi piace indicare la palazzina dove viveva Fellini, passeggiare tra le gallerie d’arte e i negozi di design, fermarmi ad ammirare l’edificio in cui sono state girate alcune scene di Vacanze Romane e infine passare da Il Marmoraro, per salutare Sandro, che ancora oggi incide a mano le targhe di marmo, proprio come faceva suo padre, che aprì la bottega negli anni Sessanta. In inverno, quando la città è più tranquilla, i romani come Sandro sono più rilassati e felici di fermarsi a scambiare due chiacchiere.
9. La bellezza selvaggia delle mareggiate liguri, di autrice di
In Liguria, il mare d’inverno spesso si trasforma in una forza potente e affascinante
Le tempeste che si formano al largo nel Golfo del Leone spingono le onde contro la costa ripida e rocciosa con un’energia primitiva. L’aria è satura di salsedine e del profumo pungente del mare, mentre il fragore delle onde va e viene, seguendo quasi il ritmo del battito del cuore.
Durente le mareggiate l’acqua cambia colore in continuazione — grigio, verde, viola, blu profondo. La superficie del mare è come un’opera d’arte viva, che muta da un momento all’altro.
Sulle spiagge deserte, la tranquillità sembra infinita. Si sentono solo le onde che si infrangono, il vento che fischia e i ciottoli che rotolano sotto i piedi. Il profumo del sale riempie l’aria, mescolandosi con quello del rosmarino, dei pini marittimi e delle erbe selvatiche che crescono lungo le scogliere. Basta passarsi la lingua sulle labbra per sentire il sapore del mare — crudo, schietto, un ricordo delle forze selvagge che hanno modellato questa costa.
Qui, lontano dal tram-tram quotidiano, il ritmo del mare ti svuota la mente, ti rigenera, ti invita a rallentare, respirare a fondo e semplicemente a stare. In inverno, la costa ligure non è solo un posto da visitare—è un’esperienza che ti entra dentro.
10. Una mattina di gennaio in Campo Santa Margherita, di, autrice di
I primi giorni di gennaio sono il mio momento preferito per essere a Venezia. Spesso fredda e luminosa, la città ha un’energia particolare nell’aria—un’attesa per il Carnevale e, al tempo stesso, un senso di sollievo per la fine delle festività.
In una mattina limpida, quando la luce è tagliente e abbagliante (portate gli occhiali da sole), mi piace passeggiare fino a Campo Santa Margherita. È uno degli spazi aperti più ampi di Venezia, e in questo periodo dell’anno sembra generoso e sgombro, come se la città stessa stesse respirando a fondo dopo la frenesia delle ultime settimane, anche solo per un breve istante.
Dal punto in cui mi trovo, all’estremità nord del campo, posso vedere tutto ciò che accade: una finestra aperta su un piccolo universo.
I veneziani entrano ed escono dai pochi caffè aperti, le loro voci si mescolano al fragore delle tazzine d’espresso e al sibilo del vapore del latte. I netturbini si radunano davanti a un bar, ingoiando velocemente tramezzini e spritz arancioni—un premio anticipato per le ore passate a spazzare le calli fin dall’alba.
Più in là, le bancarelle del mercato iniziano lentamente a svegliarsi. I pescivendoli sistemano il pescato su uno strato di ghiaccio tritato: sardine lucenti, seppie nere d’inchiostro, casse di granchi blu appena pescati nella laguna.
Le signore con la permanente, avvolte nelle pellicce, avanzano con passo deciso verso la farmacia, mentre i professori dell’università attraversano il campo a passo spedito: è periodo di esami.
Anche io stamattina ho fretta—sto andando a prendere una frittella, il dolce di Carnevale che i veneziani adorano. Palline dorate, ricoperte di zucchero, arricchite con scorza d’agrumi, pinoli e uvetta, oppure ripiene di crema pasticciera e zabaione.
Qualche anno fa, sarei potuta entrare nel piccolo forno all’angolo—un punto di riferimento per la comunità locale. Ma ora non c’è più, divorato dall’ennesimo ristorante anonimo. L’unica opzione è attraversare tutto il campo fino all’unico panificio rimasto. Mi incammino verso sud, oltrepassando gli alberi, i pozzi, le panchine. Costeggio le bancarelle del pesce, assediate dai gabbiani, e la vecchia casa del boia. Giro a sinistra, poi a destra, seguendo il profumo di frittura.
Finalmente entro in panificio. Davanti a me, vassoi stracolmi di frittelle dorate. Ne ordino una. Il calore della pasta mi scalda le mani intirizzite. Al primo morso, mi ritrovo con i baffi di zucchero. Mi piace che sia croccante e morbida, spugnosa e leggermente elastica, dolce e avvolgente—tutto insieme. E per un attimo, un attimo che si allunga pigro come un gatto rosso steso al sole, il mondo intero si ferma in una perfetta dolcezza.
Finisco la mia frittella e mi scrollo di dosso una pioggia di granelli di zucchero, quasi dispiaciuta di andarmene. Non dovrei prenderne un’altra, ma cedo—perché l’unico modo per trovare il coraggio di affrontare l’aria gelida è con una frittella in tasca.
Man mano che la mattina scivola verso mezzogiorno, il campo si anima. Gli studenti iniziano a radunarsi, le loro voci vivaci e veloci mentre discutono di esami e programmi per il weekend. Un cameriere asciuga i tavoli, scrutando il cielo per decidere se lasciare ancora fuori i posti all’aperto.
Il sole, ancora basso, tinge i muri scrostati di un miele caldo, e le ombre si accorciano, ammorbidendo la nitidezza della luce del mattino.
Riprendo il mio cammino, attraverso il ponte più vicino e saluto il campo. Tra poche settimane, Venezia si riempirà di nuovo, la città si vestirà a festa e il ritmo cambierà. Ma per ora, per noi che l’aspettiamo tutto l’anno, la Venezia silenziosa è il lusso più grande.