A proposito di ospitalità e cibo
Qual è il tuo superpotere? il mio è quello far sentire le persone accolte e a casa
Poco prima dell'estate ho chiesto una consulenza a
per ripensare, ristrutturare, e dare nuova vita a questa newsletter. Valentina ha un modo tutto suo di lavorare con te e di farti riflettere su ciò che fai, su come lo fai, sui tuoi valori e sulla tua unicità: la sua lunga lista di domande assomiglia a una seduta psicoanalitica, che apre nuove interessanti prospettive sulla tua scrittura.Tra le sue domande, una mi ha particolarmente colpita: qual è il tuo superpotere?
Non è stato immediato. Non mi ero mai guardata con l’intenzione di capire qualche grande potere mi ritrovassi tra le mie mani, ma poi ho iniziato a pensare a uno dei complimenti che ricevo più spesso dopo un corso di cucina: ci hai fatto sentire accolti, ci hai fatto sentire come in famiglia, a casa. Quindi, forse, il mio superpotere potrebbe essere proprio quello: l'accoglienza, un caldo senso di ospitalità.
Qual è il tuo superpotere?
(Questa newsletter arriva durante il fine settimana invece che di mercoledì. Ho letto il vostro feedback a queste domande—avete ancora tempo per rispondere, se vi va—e quindi abbiamo spostato l’uscita al weekend. Buona lettura!)
L'ospitalità era considerata sacra nella cultura greca. Era un legame inscindibile, un insieme di regole non scritte che richiedevano un enorme rispetto per l'ospite, una forma di solidarietà e di amicizia che durava di generazione in generazione, influenzando le sorti di guerre e di interi popoli.
La sacralità dell'ospitalità ha influenzato anche la cultura romana e, in seguito, la generosità dei popoli mediterranei, arrivando fino a noi con i sontuosi banchetti dell’Italia meridionale, quei pranzi e quelle cene che sembrano non finire mai, a cui mi auguro tu abbia avuto l’occasione di partecipare almeno una volta nella vita.
Anni fa, durante la mia vita precedente come dipendente di un'associazione nazionale per la promozione dell'olio extravergine d'oliva, andai a trovare alcuni amici che avevo conosciuto durante una fiera gastronomica ad Andria, in Puglia. Ci invitarono a unirci alla loro famiglia per un pranzo domenicale in campagna. Ci sedemmo a tavola, e iniziarono a portare un piatto dopo l’altro: pasta fatta in casa, verdure fresche, cotte, sott’olio, fagioli cotti al fiasco, dolci, il loro vino, e un amaro esplosivo, l’amaro di Padre Peppe—fuoco liquido—che mi fece digerire all’istante.
Sentivano l’obbligo morale di nutrirci con i loro ingredienti più freschi—ciliegie appena raccolte, mandorle coltivate proprio dietro casa—, e di farci assaggiare anche ciò che avevano preparato per cena, rattristati dal fatto che non potessimo rimanere più a lungo. Eravamo loro ospiti, hanno onorato la nostra presenza con generosità e un calore umano e sincero che non ci ha intimidito, anzi, ci ha fatto sentire parte della loro famiglia. Sono passati quindici anni, ma ricordo ancora quella sensazione avvolgente di essere benvenuti, il cibo un mezzo per dimostrare amore e gratitudine.
La seconda volta che siamo andati a trovarli, sulla strada per il Salento, siamo andati via con una lattina del loro olio—un buon olio d’oliva non è forse il miglior regalo che si possa ricevere?—e una cassetta di pesche percoche che riempirono la nostra auto con il loro aroma inebriante.
Il senso dell'ospitalità è da sempre radicato anche nella mia famiglia, nelle mura stesse di questa casa dove ora vivo, e la prova è questo tavolo di marmo su cui ora sono appoggiata mentre scrivo al computer, cercando un po' di tregua dalla calura estiva.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la famiglia di mia nonna ospitò amici e parenti a casa loro. A quel tempo, molte famiglie fuggivano dalla città per rifugiarsi in campagna, un luogo più sicuro dove un orto rigoglioso e i boschi vicini avrebbero garantito una migliore disponibilità di cibo. Ogni stanza della casa accoglieva un'intera famiglia, le notti si passavano giocando a carte con i vicini e con i giovani disertori nascosti nel fienile. Si davano reciprocamente sostegno e speranza.
Quando la guerra finì, quella famiglia ringraziò il mio trisnonno con quello che avevano: il figlio, un calzolaio, fece delle scarpe di cuoio per mia nonna, e il padre, il proprietario di una cava di marmo non molto lontana da qui, regalò alla mia famiglia il tavolo di marmo giallo.
Puoi leggere la storia di questo tavolo qui: Sognando di rinnovare la nostra cucina di casa, e la storia di un tavolo di marmo che è nella mia famiglia dagli anni '40.
Nel corso degli anni, questa casa divenne il rifugio di tutti i nipoti di mia nonna, che venivano a mangiare la domenica con le loro fidanzate prima di essere formalmente presentate alla famiglia. Ci sono ricette che segnano quei pasti, come le tagliatelle di nonna con ortolina, prosciutto cotto, origano e panna.
Crescendo, per i miei genitori era del tutto naturale che invitassi a pranzo gli amici dopo la scuola. Mia mamma è la persona più generosa che conosca, e nessuno è mai uscito di casa a mani vuote: vasetti di marmellata fatta in casa o di salsa di pomodoro, uova, zucchine appena raccolte dall'orto, o una fetta di quel ciambellone che avevano amato tanto.
A vent'anni, alla ricerca di nuovi amici e guidata dalla voglia di viaggiare, mi sono iscritta a CouchSurfing e, invece di offrire un divano dove dormire ai viaggiatori di passaggio, il mio giardino è diventato il punto d'incontro per i raduni locali: da una mattinata di raccolta delle olive seguita da un pranzo tradizionale toscano a una passeggiata nel bosco con torte e tè per chiudere, da un concerto di musica di Carlo Marrale che richiamò più di cento amici a house concert più piccoli e intimi—il migliore? quando Nordgarden ha cantato nel nostro salotto. Ho ancora la pelle d'oca.
Nel corso degli anni, i miei amici e gli amici di mia sorella hanno spesso considerato la nostra famiglia come la loro famiglia italiana.
I miei genitori, e mia nonna, hanno sempre accolto con un sorriso le mie idee folli, i miei amici, e centinaia di persone provenienti da tutto il mondo: lingue, storie, esperienze ed età diverse, non sono mai stati un ostacolo per nuove amicizie. Questa è una delle caratteristiche che più amo dei miei genitori, quella che spero di aver ereditato, quella che spero di trasmettere a Livia.
Quando mi sono dovuta immaginare una nuova carriera da zero, ho fatto dell'ospitalità e del cibo il fulcro della mia nuova vita.
Se dovessi identificare un superpotere, sarebbe quello di far sentire le persone accolte e a casa. Apriamo la nostra casa e accogliamo nella nostra vita studenti provenienti da tutto il mondo quando partecipano a uno dei nostri corsi di cucina.
Incontrano Noa, la nostra Maremmana, una cagnolona bianca dolce e tranquilla, ormai dodicenne, che accoglie tutti al cancello, chiedendo coccole. Incontrano mia mamma, che passa sempre in studio a salutare. Non parla inglese, ma rende comprensibili a tutti, indipendentemente dalla lingua, i suoi commenti sul buon profumo che aleggia in cucina, o il suo preferito: Quanta bella gioventù! Se sono fortunati o abbastanza veloci, possono vedere anche mia nonna, 96 anni, che si intrufola di nascosto in casa—è molto timida—o guardare mio babbo che tiro con l'arco in giardino.
Condividiamo storie, cibo e ricordi, il tutto all'interno di un corso di cucina che non è stato messo in scena per sembrare un pasto in famiglia, ma si è evoluto naturalmente in un'esperienza ricca di sfumature, influenzata dalla sacralità dell'ospitalità che ha caratterizzato la mia vita fin dai primi anni.
Ospitalità significa accogliere i gusti e le preferenze e lavorare a un menu che rispetti le aspettative di tutti, guidando i miei ospiti tra i banchi del mercato alla scoperta dei prodotti di stagione. Significa scegliere gli ingredienti migliori per loro: taralli e pecorino locale da mangiucchiare prima di stendere la pasta fresca, clementine o ciliegie mature in una ciotola sul bancone per uno spuntino veloce.
Significa condividere non solo una ricetta—una semplice serie di istruzioni che si possono trovare online o in un libro di cucina—ma anche l'universo stratificato di significati, storie, personaggi ed emozioni collegate a quella ricetta, invitando ogni studente a prendere parte alla nostra famiglia, anche solo per un giorno.
E il cibo è ancora il mio mezzo preferito per far sentire le persone accolte e amate.
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Se non potete prendere la macchina, o salire su un treno, un aereo, o un Flixbus per unirvi a noi per uno dei nostri corsi di cucina o di food writing, beh, qui troverete quello che più gli si avvicina: ricette ben collaudate, storie personali, consigli di viaggio, raccolte di libri di cucina, ospiti interessanti, e un caldo senso di casa e ospitalità.
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Le mie ricette preferite per far sentire le persone a casa
Preparate le lasagne lucane della mia famiglia
Tenete pronto un barattolo di taralli per un aperitivo improvvisato
Aggiungete al vostro repertorio culinario ricette da fare con ingredienti da dispensa, come questa pasta alla puttanesca, per preparare un pasto senza troppa fatica.
Offrite un limoncello fatto in casa.
Felice, molto felice, di far parte di quegli amici che ogni tanto invadono la vostra casa… sentendosi come nella propria.
Il tempo rallenta, ci si racconta a vicenda, si prepara una portata e poi ci concediamo una meritatissima pausa con aperitivo. Ogni tanto una foto insieme per ricordo o magari per il nuovo libro in lavorazione e si riparte, via con la seconda portata da mettere sui fornelli.
Quando tutto è pronto ci sediamo, e stiamo insieme. Ed è proprio bello.
Momenti preziosi che da quando ci conosciamo fanno sembrare le cose così semplici e mi danno nuova energia creativa.