Il giorno in cui ho colto un'occasione e ho cambiato la mia vita
Festeggiamo i 14 anni di corsi di cucina
Questo mese festeggio 14 anni di corsi di cucina. Non era il percorso che avevo immaginato quando ho decisi di studiare marketing e comunicazione. Non avevo studiato cucina, o mai lavorato in un ristorante, ed ero la prima della mia famiglia a lasciare un lavoro da impiegata per avventurarmi nel regno sconosciuto e spaventoso del lavoro autonomo. Eppure, avevo la sensazione che potesse funzionare, credevo fermamente di essere destinata a lavorare con il cibo e l'inglese, due delle mie più grandi passioni.
Quattordici anni dopo, eccoci qui: lavoro con
—che non è solo il mio migliore amico, mio marito, ma anche collega e padre di nostra figlia—Juls' Kitchen è la nostra azienda di famiglia, teniamo corsi di cucina nel nostro studio nella campagna toscana tra Siena e Firenze e incontriamo ogni anno studenti provenienti da tutto il mondo.Per celebrare questo traguardo, oggi condivido con voi un pezzo che avevo scritto anni fa per un bellissimo corso tenuto da alla Scuola Holden, Scrivere di Sé. Sono così felice di essermi presa il tempo di ricercare tutti i dettagli, perché quel pomeriggio è ancora impresso nel mio cuore, così come la chiacchierata che feci quella sera con la mia amica e mentore Judy Witts Francini, che ha sempre sostenuto i miei progetti e che mi ha spinta a tentare questa nuova carriera.
- Vai, lascia il tuo lavoro, dedicati ai corsi di cucina -
E così ho fatto.
Feci rotolare con attenzione gli gnudi di ricotta e spinaci nell’acqua che già sobbolliva sul fuoco e mi misi ad aspettare. Guardavo le tracce che avevano lasciato nella farina.
Perché tra tutti i piatti che avevo a disposizione, ero andata a scegliere proprio gli gnudi per il mio primo corso di cucina?
Il giorno prima, al ritorno dall’ufficio, avevo incontrato Brandon e Lisa, una coppia di australiani in vacanza nell’appartamento che i miei genitori affittavano durante la bella stagione. Erano quel tipo di turisti curiosi che non si accontenta di spuntare una lista di cose da fare quando vengono in Toscana - il Duomo di Firenze, Piazza del Campo a Siena, i cipressi della Val d’Orcia - ma si ferma volentieri a chiacchierare, per chiederti di te, cosa leggi, come vivi. Attendevo quegli incontri casuali assetata di internazionalità, morivo dalla voglia di parlare inglese.
Mi aspettavano fuori in giardino, al tavolino bianco di ferro battuto scrostato dagli anni, sotto l’acacia. Era maggio, c’era profumo di miele nell’aria e una nevicata di fiori bianchi ovunque. Piccoli come popcorn, i fiori di acacia secchi avevano creato un tappeto sul quale ora stavamo camminando, in un fruscio sommesso.
- Giulia, conosci qualcuno che faccia corsi di cucina? -
Me ne resi conto subito. Le domeniche passate in cucina a preparare ravioli, a inebriarmi del profumo di burro della frolla, i libri di cucina ammucchiati sul letto: cercavo una nuova vita, e questa occasione capitata per caso, ma cercata con costanza, poteva essere l’inizio del cambiamento.
Quando avevo aperto il mio blog di cucina, due anni prima, lo avevo fatto solo per soddisfare l’esigenza di avere qualcosa di mio, per avere un luogo dove dar sfogo a quella passione che stava crescendo a una velocità inaspettata. L’idea che il blog, e la cucina soprattutto, potessero diventare un lavoro era ben lontana dalla mia quotidianità di impiegata e laureata in comunicazione.
Col passare dei mesi, però, il blog era cambiato. Mi ci ero dedicata con trasporto, avevo scoperto che dopo tutto ero brava anche a scrivere e fotografare, nonostante quello che mi veniva costantemente ripetuto in ufficio. Il blog non era più soltanto un rifugio, ma anche un appiglio grazie al quale poter sognare una vita diversa.
L’idea di fare del cibo la mia nuova professione non era più così remota. Mi serviva solo un segno, qualcosa che mi desse fiducia e mi facesse fare il primo passo. Il momento era arrivato.
Il giorno successivo passai le mie otto ore in ufficio con una leggerezza addosso che non sentivo da tempo. In un impeto di ottimismo inaspettato sorrisi anche al mio capo.
Alle sei, puntuale, suonai il campanello di Brandon e Lisa. Avvolta in un grembiule di cotone rigido, che mi faceva da scudo contro le mie insicurezze, mi arrampicai su quelle scale che conoscevo bene, con una busta così piena di ingredienti che rischiava di rompersi a ogni scalino.
In un corso di cucina si comincia sempre dal dolce: noi avremmo fatto un tiramisù. Non era un caso che fosse anche uno dei miei dolci preferiti, volevo partire con qualcosa che mi desse coraggio, e il mascarpone unito al caffè ha sempre avuto questo potere.
Mentre nell’appartamento al primo piano la luce diventava sempre più radente e tracciava ombre nette sul tavolo della cucina, misi la moka sul fuoco e iniziai a spiegare la ricetta del tiramisù.
Quante volte lo avevo fatto? Conosco la ricetta a memoria, me l’ha insegnata mamma una di quelle domeniche in cui l’abbiamo fatto insieme per pranzo, io arrampicata sullo sgabello di cucina con un grembiule che mi faceva da vestito, lei in piedi, che mi reggeva la ciotola di vetro marrone, indispensabile negli anni ottanta: un cucchiaio di zucchero per ogni tuorlo, le chiare montate a neve soda, il mascarpone, un goccio di caffè amaro.
Presa dall’emozione, però, livello le proporzioni e dico a Lisa di pesare cento grammi di zucchero per ogni uovo. Ecco. Ormai l’ho detto. Non posso tornare indietro, pensa che figura…
Sciogliere quello zucchero si rivelò un’impresa più ardua del previsto. Ma poi arrivarono il mascarpone aggiunto a cucchiaiate dense, la frusta, il mestolo di legno e i gesti ormai conosciuti a memoria, gli sbuffi di cacao, i savoiardi che si inzuppano di caffè, diventando pesanti e arrendevoli, il taglio del cioccolato fondente che si spezza in schegge croccanti.
Il tiramisù era andato. Lo misi in frigo nelle tazzine di porcellana di mamma, quelle col bordo dorato brillante e il piedino delicato.
Era arrivato il momento degli gnudi. Come dice il nome, sono il ripieno dei ravioli – ricotta fresca, spinaci lessati e saltati in padella, pecorino grattato – spogliato dal vestito di pasta. Avevo accumulato sufficiente pratica e confidenza per poter insegnare i ravioli senza timore di disastri anche a due americani alle prima armi, ma con gli gnudi il discorso era diverso.
Gli gnudi sono soggetti a tante variabili che possono compromettere la loro realizzazione: la ricotta troppo umida, gli spinaci non strizzati bene, troppa farina, poca farina, una giornata storta. Perché li avevo scelti ancora non l’ho capito, ma in quel momento mi affidai a tutti i numi tutelari della mia famiglia: alla bisnonna Pia, che sfamava un’aia piena di contadini riuniti per la mietitura; a nonna Marcella, che ancora oggi a novant’anni ogni giovedì ci invita a pranzo e ci fa sedere a una tavola apparecchiata con i tovaglioli di stoffa; a mamma, che non ha mai avuto una particolare predisposizione per la cucina, ma che ci ha insegnato che anche una braciolina all’olio fatta con amore, seppur callosa, nutre, e che il tè delle cinque con i biscotti cura ogni male.
Facciamo rotolare gli gnudi nella farina, alcuni piccoli, rotondi, perfetti, altri più grossi e bitorzoluti, che si fermano subito nel piatto. Le nostre mani sono verdi e appiccicose, coperte di impasto e di farina, ma sembra che abbiano trovato un ritmo che le fa ballare a tempo.
L’acqua bolle. È arrivato il momento di cuocere gli gnudi. Li faccio rotolare dal piatto alla pentola: si tuffano nell’acqua, spariscono sul fondo come un tuffatore che esegue un tuffo olimpico perfetto, senza schizzi. Adesso attendiamo. Saliranno a galla, danzando tra le bollicine e i resti della farina, o si scioglieranno sul fondo, nel segreto delle profondità dell’acqua salata?
Quei pochissimi minuti mi sembrarono eterni, valutai le possibili scuse, le alternative, una fuga rocambolesca giù per le scale. Feci gli scongiuri. Indossai i panni di un aruspice, legando il successo di quella ricetta a una profezia di felicità: se vengono a galla, la mia vita finalmente cambierà.
Un tremolio in superficie, uno sfarfallio al cuore, e poi eccoli gli gnudi, leggeri, eleganti, che spuntano come fiori primaverili. Sentii che avevo trovato la mia strada, e il coraggio di seguirla. La cucina poteva essere il mio nuovo mestiere. D’altronde, gli gnudi erano venuti a galla.

Volete preparare il menù che avevo fatto per questo corso? Qui trovate le ricette:
tiramisù (ricetta classica del blog)
Mi hai fatta commuovere! ♥️ evviva te, evviva voi. Coraggio contiene in sè la radice di cor, cordis, cuore in latino ♥️ quanto cuore e quanto coraggio serve per diventare ciò che si è
Giulia, che emozione rileggere questo racconto! E che gioia seguire il tuo percorso - e gustare le tue ricette. Bello averti incontrata. Un abbraccio grande