Un anno in una scuola di cucina toscana: gennaio
Il dietro le quinte del mese più tranquillo della nostra scuola di cucina toscana: mercati, passeggiate in campagna, e ricette di stagione
Benvenute e benvenuti al primo capitolo di una nuova rubrica, Un anno in una scuola di cucina toscana. Ogni mese vi porterò dietro le quinte della nostra scuola di cucina, offrendovi uno scorcio sul nostro lavoro quotidiano e sui i ritmi della vita qui in Toscana. Vi racconterò dei prodotti che scopro al mercato locale, le storie delle persone che incontriamo durante i corsi, e le ricette ispirate agli ingredienti stagionali più freschi.
Questa rubrica sarà molto più di un aggiornamento mensile: avrà il respiro, il tempo e lo spazio di un libro di cucina. Ogni storia e ricetta si svilupperà con il suo ritmo, per approfondire l’essenza della cucina toscana, della sua cultura e dei suoi cicli stagionali.
A partire da febbraio—esattamente quattro anni dopo il lancio della nostra opzione di abbonamento su Substack—apporteremo alcune modifiche a questa newsletter. Mentre la maggior parte delle nostre ricette sono già incluse nell’abbonamento a pagamento, presto quasi tutte le nostre newsletter saranno disponibili solo per gli abbonati, inclusa questa rubrica. L’archivio del blog rimane—e rimarrà sempre—gratuito per chiunque cerchi una ricetta della cucina tradizionale toscana e italiana.
GENNAIO
Dopo i colori accesi dell’autunno e le luci scintillanti di Natale, la campagna a gennaio somiglia a una foto in tonalità seppia con boschi di querce e strade fangose. In una rara giornata fredda e soleggiata, i toni del rosso e del marrone risplendono, illuminano quell’angolo di Toscana che posso vedere dalla finestra della mia cucina. Ma nella maggior parte dei giorni, un cielo grigio e spento incornicia una campagna a riposo, silenziosa e immobile.
Eppure, piccoli segni impercettibili di movimento—tuberi smossi sotto le siepi, le foglioline della pimpinella che sbucano da un tappeto di foglie secche di quercia, i narcisi esili che crescono accanto al cancello—tradiscono la vita che si agita sotto il manto invernale che avvolge la campagna.
Lo stesso accade nella nostra scuola di cucina.
Sono finite le settimane frenetiche di corsi di cucina, delle visite al mercato, dei grembiuli stesi al filo in giardino, delle tovaglie macchiate, delle bottiglie di vino, delle ancora più numerose bottiglie di olio, delle borse di vimini stracolme di prodotti di stagione, delle mani indaffarate intorno ai taglieri e delle lunghe tavolate composte da persone felici, impegnate a chiacchierare, mangiare e stringere nuove amicizie. Dopo il vortice dei corsi autunnali e molto prima del graduale risveglio della primavera, eccoci nel mese più lento.
Lo studio appare silenzioso e vuoto, freddo nella maggior parte dei giorni, perché preferisco lavorare nella cucina di casa, riscaldata dal forno dove cuocio verdure invernali o teglie di mele con cannella e uvetta. Scendo nello studio solo quando dobbiamo scattare le foto per il prossimo libro, o quando invitiamo amici nel fine settimana. La lunga tavola al centro della cucina è perfetta per accogliere un piccolo gruppo nutrito di persone con le quali le ore passano veloci, e il barbecue appena fuori dalla porta finestra rende facile ritrovarsi attorno a una ciotola di patatine, un vassoio di verdure e una salsina, mentre Tommaso tiene d’occhio le costine di maiale che cuociono piano.
Sto lentamente svuotando il freezer, consumando sacchetti di pici e tortelli accumulati nei mesi scorsi—avanzi di una generosa produzione di pasta fresca che sempre caratterizza i nostri corsi. Tra questi, ho trovato anche gli ultimi resti di pesto di cavolo nero, un paio di salsicce surgelate, e le ultime tracce della farina di castagne dello scorso anno. Tutto è stato trasformato in pasti veloci per le giornate dedicate alla scrittura.
Mi sto dedicando anche alla dispensa, cercando di vedere il fondo dei barattoli di frutta secca, farine e spezie prima di fare scorta per la nuova stagione.
A gennaio non ci sono studenti, eppure là fuori c’è vita: un flusso costante di email con richieste e prenotazioni, a volte fatte con molti mesi di anticipo. Ci danno speranza per una buona stagione a venire.
Ho dovuto imparare fin dall'inizio a fidarmi del via vai di corsi, richieste e persone.
Lavorare seguendo le stagioni mette davvero alla prova le tue capacità organizzative e la tua sicurezza. Ci sono settimane—anzi, mesi—durante i quali riesci a malapena a respirare, quando sembra che tutti vogliano prenotare un corso e persino gli agriturismi e gli hotel locali ti scrivono per cercare di soddisfare richieste last-minute. Poi ci sono mesi in cui tutto rallenta.
Dopo il mio primo anno di corsi di cucina, l’arrivo dell’inverno mi mandò nel panico. Non sapevo se i corsi sarebbero ripresi in primavera, mettevo in dubbio me stessa e le mie scelte professionali. E se quella prima stagione di successo fosse stata solo una serie di fortunati eventi? E se non avessi ricevuto più richieste?
Col tempo, però, ho imparato ad accettare il flusso e riflusso delle stagioni. Ancora più importante, insieme a Tommaso, ho lavorato per rendere tutto questo sostenibile, creando attività collaterali che non dipendono dalla stagionalità, come questa newsletter, i nostri libri di cucina e i contenuti che realizziamo per pochi clienti selezionati.
Ora accolgo con piacere la bassa stagione dei corsi. Accolgo le fredde e nebbiose mattine di gennaio, quando finalmente abbiamo il tempo per riposarci e prepararci per la nuova stagione: ridipingiamo lo studio dopo un anno di schizzi di pomodoro e macchie di caffè, e cerchiamo un nuovo spazio per il piccolo shop che stiamo costruendo—con i nostri libri di cucina, il miele che amiamo e le deliziose riga gnocchi incise da babbo con il nostro logo.
Questi sono i giorni dedicati a riflettere su cosa possiamo migliorare. Sfoglio il libro dei menu dei corsi di cucina, dove ho annotato ogni menu degli ultimi tre anni, per individuare schemi, riconoscere ricette che funzionano bene insieme e capire cosa manca, o quali ricette hanno bisogno di essere sviluppate per la prossima stagione. Poi, a febbraio, sarà il momento di agire: creare nuovi piatti, migliorare i classici e aggiungere nuove ricette al nostro repertorio di cucina.
Devo ammettere che, per quanto ami cucinare con i miei studenti durante la stagione dei corsi, apprezzo moltissimo questi mesi tranquilli. Riposo—e non lo do mai per scontato, perché insegnare è un lavoro creativo e gioioso, ma può essere estenuante—mangio in modo abbastanza sano, preparo zuppe e insalate.
Parlando di corsi, vi ricordo che a febbraio e marzo tornano anche i corsi di cucina del fine settimana!
Torte d’Inverno. Noci, agrumi e cioccolato, con Emanuela Regi (La Dolce Peonia)
🗓 Quando: 22 febbraio 2025, dalle 14.00 alle 18.00
🧑🍳Quanti: max 8 posti, parte con 4 iscritti
💰Costo: 85€ a persona (include una degustazione finale con gli assaggi di ciò che abbiamo preparato e tè abbinato)
Facciamo il gelato. La scienza del gelato artigianale, con Chiara Ghiron
🗓 Quando: 15 marzo 2025, dalle 14.00 alle 18.00
🧑🍳Quanti: max 8 posti, parte con 4 iscritti
💰Costo: 85€ a persona (include una merenda con gli assaggi di ciò che abbiamo preparato)
Trovate tutte le info sui corsi qui.
Cammino.
Mi piacerebbe chiamarla un’abitudine quotidiana, com’era durante la gravidanza, ma non lo è. Tuttavia, quando vedo uno sprazzo di sole, indosso le scarpe da ginnastica ed esco, percorrendo lo stesso sentiero familiare, di cui ormai conosco a memoria ogni pozzanghera e siepe. Durante la camminata, intrattengo una conversazione silenziosa con la natura intorno a me, osservo i segni lasciati dai caprioli e dai cinghiali che hanno attraversato i campi di notte, e metto ordine nelle idee, lasciando che i pensieri prendano aria.
Camminando lungo la strada silenziosa e fangosa che ci porta da casa nostra a quella della mia amica Marta, sto insegnando a Livia a riconoscere le poche erbe selvatiche che conosco. Abbiamo iniziato raccogliendo le prime foglie di pimpinella, o salvastrella, il cui aroma è un mix di cetriolo e noce: è proprio la prima erba selvatica che nonna mi ha insegnato a cercare per fare un’insalata. Ora tocca a Livia raccogliere le foglie di pimpinella per la nostra insalata.
Raccogliendo, lavando e mescolando la sua insalata, scegliendo le foglie che vuole includere—radicchio, pimpinella, menta e cavolo verza—e lasciando da parte quelle che non le piacciono, come le foglie di sedano, Livia ha finalmente assaggiato la sua prima insalata. Ora, con orgoglio, la massaggia e la serve con parsimonia ai suoi commensali.
A gennaio vado al mercato settimanale, da sola.
Il mercoledì è giorno di mercato, che piova o ci sia il sole. Frequento questo piccolo mercato settimanale da circa otto anni. Si tiene in un parcheggio nel quartiere di Gracciano, alla periferia di Colle Val d’Elsa, dove c’è la mia vecchia scuola elementare, la migliore gelateria della città, l’ufficio postale, una farmacia, un bar che fa un espresso e un cappuccino eccezionali, e la nostra macelleria di fiducia.
La mia prima destinazione è il banco della verdura. Mentre mi dirigo lì, saluto con un cenno le vecchiette che mi conoscono da quando ero bambina, gli amici con cui pedalavo ancora con le rotelle, e i venditori del mercato, che ormai conoscono le mie abitudini e preferenze per radicchio, mele e pomodori.
Anche se questo mercato settimanale è di solito frequentato solo dagli abitanti locali—intenti a fare scorte di frutta e verdura, insieme a un pollo arrosto e a un cartoccio di alici appena pulite—a gennaio sembra ancora meno turistico del solito.
Non c’hai nessuno oggi? I venditori di frutta e verdura, il formaggiaio, il macellaio— tutti mi salutano con la stessa domanda: Come mai sei da sola oggi? Sono abituati a vedermi con un gruppo di persone curiose al seguito, gesticolando mentre spiego come scegliere un carciofo fresco o cosa fare con quelle splendide foglie di radicchio che sembrano rose.
Da sola, mi prendo il tempo di curiosare tra le verdure di stagione, chiedendo notizie sui carciofi—Quando arrivano quelli locali? Sono freschi? Quali sono i migliori per un pinzimonio?—il prezzo del radicchio, e lo spessore della buccia delle arance—presto mi serviranno per fare i canditi.
Le mie borse si riempiono in fretta, perché sono emozionata come sempre all’idea di cucinare seguendo le stagioni: un grande mazzo di cavolo nero da servire con le braciole di maiale, scarola da sbollentare e ripassare in padella con acciughe, olive e capperi—tre cespi. So che sembrano tanti, ma si riducono molto in cottura. Tanto radicchio, i primi carciofi e… cos’è quello? Cime di rapa, l’originale varietà pugliese, con meno foglie, tanti germogli e un profumo deciso di senape. Sì, mi dice Valentina, oggi sei fortunata. Di solito in Puglia si tengono quelle buone per loro, qui le trovi forse due volte l’anno. Oggi è proprio il tuo giorno.
Dopo il mercato, faccio una breve passeggiata fino alla macelleria.
Per quanto riguarda la carne, cerco di comportarmi proprio come faccio con le verdure: ascolto i bisogni e i desideri del mio corpo, e cucino seguendo il clima, rispettando stagionalità e la tradizione. In passato, la carne non era un alimento quotidiano, ma qualcosa che si consumava con parsimonia per molte ragioni: le diete erano prevalentemente a base vegetale, c’erano numerosi giorni di digiuno e astinenza dai prodotti animali durante l’anno, e la carne era costosa o semplicemente fuori portata per molti—un lusso riservato alle occasioni speciali e alle festività.
Gennaio coincideva spesso con il periodo della macellazione del maiale. I mesi freddi garantivano che la carne fresca potesse essere conservata naturalmente grazie al morso dell’aria invernale. Il maiale, spesso allevato da una singola famiglia o collettivamente da un villaggio, avrebbe infine adempiuto al suo scopo, fornendo una riserva di cibo essenziale per l’anno a venire. Le tradizioni culinarie legate alla macellazione del maiale sono spesso connesse alle celebrazioni di Sant’Antonio Abate, festeggiato il 17 gennaio, patrono dei macellai e degli animali domestici.
E così a gennaio, quando vado dal macellaio, compro prevalentemente maiale. Luciano ha il Grigio della Montagnola, una razza locale allevata allo stato brado nei vicini boschi, dove i maiali si nutrono di funghi, tartufi e ghiande. La carne è saporita e marmorizzata, la mia prima scelta sia per i corsi di cucina che per noi.