Il Parmigiano Reggiano, uno dei primi esempi del made in Italy
Una visita a un caseificio del Consorzio del Parmigiano Reggiano | I tre ingredienti (più due) che rendono unico il Parmigiano Reggiano
Qualche giorno fa siamo andati a Parma per visitare un caseificio del Consorzio del Parmigiano Reggiano. La mattina sei lì in caseificio, sul presto, quando il latte della sera che ha riposato tutta la notte viene mischiato a quello appena munto. Sei accanto al casaro, che sapientemente dosa siero innesto e caglio, e poi tocca con mano la cagliata per capire dalle increspature quando è pronta.
Proprio come è successo a noi, invitati dal consorzio, anche tu puoi prendere parte alla magia che si ripete immutata da secoli e vedere come nasce il Parmigiano Reggiano. E la visita si prenota facilmente dal sito del Consorzio.
È qui che ti rendi conto che uno dei prodotti più rappresentativi del Made in Italy, uno dei più conosciuti, amati e imitati, è un prodotto artigianale che racchiude l’essenza di un territorio, i suoi profumi, e i suoi saperi.
E da disciplinare, perché possa essere Parmigiano Reggiano DOP, il formaggio deve essere prodotto proprio qui, nella sua zona di origine, un territorio di 10.000 km2 che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po, e Bologna alla sinistra del fiume Reno.
La territorialità è così importante che è proprio in quest’area che devono essere prodotti non solo il latte, ma anche almeno il 75% del foraggio che alimenta le vacche, qui che deve avvenire la trasformazione in formaggio, la sua stagionatura fino all’età minima di 12 mesi, il confezionamento, e l’eventuale grattugiatura. Lo stesso disciplinare regolamenta anche le metodiche produttive del Parmigiano Reggiano, che spesso si rifanno a un sapere millenario.
Durante una visita a un caseificio si riesce a toccare con mano tutto questo, dall’importanza della tradizione al ruolo centrale del territorio. Sono visite esperienziali che, proprio come nella degustazione finale di Parmigiano Reggiano, attivano e solleticano tutti e cinque i sensi.
La visita al caseificio
Siamo arrivati poco prima delle 8 al Caseificio San Pier Damiani, in provincia di Parma, in una mattina estiva di luce bianca e accecante. Attorno al caseificio, le stalle e i pascoli dove vengono allevate le vacche di razza Frisona e le Brune Alpine che producono il latte per il formaggio.
La famiglia Delsante è impegnata nell’agricoltura da sei generazioni, e oggi sono Elvezio Delsante e il figlio Saverio a condurre l’attività di famiglia; le visite e l’accoglienza sono invece gestite dalla nuora Roberta e dalla moglie Amalia, professoressa di italiano e di storia che per prima ha pensato, più di dieci anni fa, di aprire le porte del caseificio per mostrare con trasparenza e giusto orgoglio quello che c’è dietro ogni singola forma di Parmigiano Reggiano prodotta.
Una volta indossati tute e copriscarpe, siamo entrati nel caseificio armati di macchina fotografica, blocco per gli appunti e di una giusta dose di curiosità. Lì, gli odori del latte e del fieno, i gesti precisi, ripetuti giorno dopo giorno con la stessa perizia, e le diverse temperature che scandiscono la vita del Parmigiano Reggiano ci hanno trasportati in una realtà artigianale con alle spalle secoli di storia.
La storia
Il Parmigiano Reggiano nasce infatti nel Medioevo, attorno al XII secolo, quando i monaci cistercensi, nello spirito dell’Ora et Labora benedettino, si dedicano tanto alla preghiera quanto al lavoro manuale. Il Parmigiano Reggiano viene prodotto con lo scopo di poter conservare il latte a lungo, durando nel tempo. Le forme di notevoli, dimensioni poi, permisero anche al Parmigiano di viaggiare, allontanandosi dalla sua zona di produzione, diventando uno dei primi esempi del made in Italy.
I tre ingredienti (più due) del Parmigiano Reggiano
Ma cosa rende il Parmigiano Reggiano così unico? Occorrono solo tre ingredienti (latte, caglio, sale), insieme ad altri due elementi fondamentali: tutto inizia dalle stalle e dai prati e si conclude con l’azione del tempo.
Durante la nostra visita al Caseificio San Pier Damiani abbiamo potuto assistere a tutto il processo.
1) Le stalle e i prati
Come nel caso di un buon vino, che si fa non solo in cantina ma soprattutto in vigna, anche un formaggio di qualità come il Parmigiano Reggiano non nasce solo in caseificio, ma anche nelle stalle e nei prati.
L’unicità del Parmigiano Reggiano comincia proprio qui, negli allevamenti, dove le bovine sono alimentate con foraggi, erbe, e fieni di provenienza locale, in un ambiente rispettato e tutelato.
Da disciplinare, infatti, sono vietati foraggi fermentati o insilati, e questo fa sì che i tre unici ingredienti del Parmigiano Reggiano siano solo latte, caglio, e sale.
2) Il latte
Come da disciplinare, il latte del Parmigiano Reggiano deve essere prodotto esclusivamente sul terriorio, nella sua zona di origine. Il 90% del latte proviene da vacche da latte di razza Frisona, mentre il restante 10% proviene da Vacche Brune Alpine (nella provincia di Parma), Vacche Rosse (Reggio Emilia), e Vacche Bianche (Modena).
Il latte della sera viene versato nelle vasche di affioramento e lasciato lì per tutta la notte. Il giorno successivo, dopo che la panna di affioramento è stata tolta, al latte scremato così ottenuto si aggiunge il latte della mattina. I due latti vengono miscelati nelle caldaie tronco coniche a doppio fondo fatte di rame (all’interno) e acciaio (all’esterno).
A questo punto entra in gioco il siero innesto, una coltura di batteri rimasto della lavorazione del formaggio del giorno precedente.
Immagina il siero innesto come una sorta di ‘lievito madre’, che fa sì che la popolazione dei batteri lattici del territorio possa contaminare e caratterizzare il formaggio prodotto ogni giorno.
La quantità di siero innesto utilizzata varia di giorno in giorno, in base alla sua acidità e all’acidità del latte, e questo contribuisce a far fa sì che ogni forma di Parmigiano Reggiano sia diversa dall’altra
Una volta miscelato, il latte viene scaldato fino a 35-36°C.
3) Il caglio
Quando il latte raggiunge i 35-36°C, il casaro aggiunge il caglio di vitello [questo rende il Parmigiano Reggiano, e qualsiasi altro formaggio fatto con caglio animale, potenzialmente non adatto a chi segue una dieta vegetariana].
In circa 15 minuti il latte inzia a coagularsi, e il casaro tocca delicatamente la cagliata con una mano per capire quando è il momento giusto per fare la spinatura, ovvero la rottura della cagliata. Osservando questo momento in caseificio non si può non provare un brivido di emozione, perché questo gesto all’apparenza semplice fa emergere non solo il carattere artigianale del prodotto, ma soprattutto la rilevanza dell’esperienza del casaro.
Le prime spinature sono sempre fatte a mano con uno strumento tradizionale conosciuto come spino [da biancospino, il cui legno resistente una volta veniva usato per compiere questo processo fondamentale] per controllare lo stato di lavorazione del formaggio. La successiva spinatura a macchina fa sì che il latte cagliato, ormai ridotto in piccoli granuli grandi come chicchi di riso, si separi dal siero.
Dal latte al formaggio Dopo una cottura di circa 10 minuti e un riposo di 45 minuti, i granuli caseosi si sono raccolti sul fondo della caldaia e si sono compattati in una massa caseosa. Ogni caldaia, piena con 1.000 l di latte, produrrà 2 forme da 50 kg l’una. Questo è forse il momento più scenico e poetico. Il casaro e un suo assistente, con movimenti rapidi e precisi, prima raccolgono la massa in un telo di lino, e poi la dividono a mano in due forme, dette gemelle. Prima di essere depositata nella fascera che le darà la forma definitiva, su ogni forma viene applicata una placca di caseina con un QR code, una sorta di carta d'identità, che permette al Consorzio di tracciare a ritroso ogni forma di formaggio fino alla caldaia, al latte, alla stalla, e a cosa hanno mangiato le vacche. Tolto dalla caldaia, il formaggio, avvolto nei teli di lino, viene posto negli stampi per prendere la forma cilindrica, viene rivoltato ogni due ore per perdere il siero, e alla fine della prima giornata, tolto il telo, viene applicata la fascia marchiante per una notte, che inciderà sullo scalzo di ogni forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola del caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini. È in questo momento che nasce l’identità visiva del Parmigiano Reggiano. In seguito, il formaggio sosta per due giorni all’interno di una fascera di metallo per assumere una forma convessa.
E il siero che fine fa?
Un minima parte del siero del giorno prima diventa siero innesto.
Un parte del siero viene impiegato per fare la ricotta. Si aggiunge il sale e poi il siero viene scaldato di nuovo fino a 90°C: viene, cioè, ri-cotto. In alcuni casi si aggiunge del latte o la panna di affioramento della sera precedente per rendere la ricotta più ricca.
In passato il siero era principalmente destinato a diventare cibo per i maiali, in un’economia circolare che vedeva l’allevamento suino - e la conseguente produzione di salumi - strettamente connesso al lavoro dei caseifici.
Oggi il siero viene anche venduto ad aziende farmaceutiche, cosmetiche, o alimentari.
Visto che il siero diventa velocemente molto acido, spesso viene usato per pulire e disinfettare il caseificio, così che i batteri contenuti nel siero possano contaminare tutte le superfici, contribuendo alla creazione di quell’ambiente microbiologicamente unico che permette la nascita del Parmigiano Reggiano.
4) Il sale
Ci spostiamo ora nella sala della salamoia, dove entra in gioco il quarto ingrediente, il sale.
Una volta tolta la fascia marchiante, le forme di formaggio vengono immerse in una soluzione satura di sale, nella quale sosteranno per 20 giorni. È proprio il sale, un conservante naturale, che farà sì che il Parmigiano Reggiano possa durare nel tempo.
5) Il tempo
Ecco il quinto, imprescindibile ingrediente che dà vita al Parmigiano Reggiano DOP: il tempo.
Le forme di Parmigiano Reggiano devono stagionare in un magazzino del territorio di origine per almeno 12 mesi, dove saranno spazzolate ogni 2 settimane, fino a che gli esperti battitori del Consorzio non controlleranno le forme, una per una, per poi apporre il marchio a fuoco. Per i consumatori finali questo è il momento della selezione e certificazione di una garanzia assoluta sul prodotto.
I processi di fermentazione lattica, che iniziano nei primi giorni di produzione, fanno sì che il Parmigiano Reggiano sia naturalmente privo di lattosio.
A questo punto il Parmigiano Reggiano DOP può essere venduto, oppure può proseguire la sua stagionatura. Non c’è un limite temporale alla stagionatura, tanto che alcune forme raggiungono anche i 100 mesi.
La degustazione del Parmigiano Reggiano
La visita al caseificio si conclude con una degustazione, che ancora una volta coinvolge i cinque sensi. Il Parmigiano Reggiano si assaggia a temperatura ambiente, prima prestando attenzione al suo colore e alla grana, poi spezzandolo con le mani per poi annusarne i profumi.
In bocca ci dobbiamo concentrare sul gusto (è più dolce? o più salato?), sugli aromi (burro, latte, yogurt, ma anche note vegetali di erba e verdura lessa, aroma di brodo o di spezie, come la noce moscata) e sulla consistenza (è gommoso? friabile? si scioglie?).
Man mano che il Parmigiano Reggiano stagiona si formano cristalli di tirosina ben visibili, che in bocca scricchiolano, andando a colpire anche l’ultimo senso coinvolto, l’udito.
Hai mai fatto caso a quanto cambia il Parmigiano Reggiano man mano che stagiona? Hai un tipo di Parmigiano Reggiano preferito? Noi siamo indecisi tra il 24 e il 36 mesi.
Curiosità sul Parmigiano Reggiano
La crosta del Parmigiano Reggiano. La crosta del Parmigiano Reggiano è edibile, e preziosa. Non viene trattata durante la produzione, quindi al momento del consumo basta spazzolarla bene. Aggiungila a brodi, minestre, e zuppe, oppure consumala fritta o al microonde.
Il Parmigiano Reggiano nello spazio. Oltre che per gli sportivi, il Parmigiano Reggiano è consigliato anche agli astronauti! Nel 2005 il Parmigiano Reggiano è inserito nella dieta ufficiale di tutti gli astronauti in missione sulla Stazione spaziale internazionale. Leggi qui.
Il Parmigiano Reggiano e le banche. Storicamente i formaggi erano usati come garanzia per avere prestiti presso le banche. Tutt’oggi molti magazzini di stagionatura soono spesso di proprietà di banche locali.
Come si conserva il Parmigiano Reggiano. Una volta portato a casa, uno spicchio di Parmigiano Reggiano può essere conservato in frigo tra i 4°C e gli 8°C, avvolto in pellicole ad uso alimentare, o, ancora meglio, in sacchetti di Ovtene. È bene tenerlo lontano da altri cibi, perché la parte grassa del formaggio tende ad assorbire tutti gli odori (prima o poi ti racconerò di quando ho riempito il frigo di formaggio e bergamotti… indovina un po’ di cosa sapeva il formaggio?).