La dispensa degli altri. Q&A con Valentina Raffaelli
Una nomade culinaria e una food researcher | La dispensa a casa e il lavoro nella cucina di un agriturismo | Il suo libro: Scarti d'Italia | La ricetta di Valentina per le rape sott'aceto
Torna la rubrica Le dispende degli altri, una serie di interviste con un focus sulle dispense come modo privilegiato per entrare nella vita delle persone, negli stili di cucina e nelle loro ricette preferite. È anche un’occasione per me per fare due chiacchiere con professioniste che stimo, con amiche che hanno condiviso con me una parte importante del percorso di crescita personale e professionale.
Oggi scambiamo quattro chiacchiere con Valentina Raffaelli, nomade culinaria e food researcher, una food writer e una chef, uno dei profili più interessanti da seguire su Instagram per la sua creatività in cucina, per la ricerca, la passione, l’approfondimento, e, non ultimo, per gli scorci di mondo che ci regala quando è in giro con il suo BigBlue.
Trovi Valentina su Instagram: @valentina.raffaelli e qui trovi il suo primo libro: Scarti d'Italia. Da Nord a Sud, un'avventura culinaria dove non si butta via niente
Parte della nostra conversazione è dietro paywall, e lì gli abbonati troveranno la ricetta di Valentina per fare le sue rape sott’aceto, deliziose da unire alle insalate o in un aperitivo da accompagnare ai formaggi.
Quando ti iscrivi alla nostra newsletter, contribuisci attivamente alla realizzazione di Lettere dalla Toscana. Inoltre, riceverai nuove ricette esclusive, potrai commentare e creare una relazione con gli altri lettori di questa newsletter.
Ciao Valentina, ci racconti chi sei e cosa fai?
Ciao sono Valentina, trentina di origine ma con base ad Amsterdam da più di dieci anni ormai. Sono in origine una designer, laureata in architettura e design degli interni, che ad un certo punto del percorso si è innamorata follemente della cucina tanto da non uscirne più e stravolgere completamente il mio lavoro. Lavoravo da diversi anni come designer, prima in uno grosso studio di allestimenti museali, poi ho aperto il mio studio assieme ad un’amica e ci occupavamo di styling di interni per aziende di prodotto ed editoriali per riviste. Sono entrata in cucina un po’ per gioco e non sono più’ riuscita a smettere.
Ho lavorato per quattro anni nella brigata di un famoso ristorante italiano ad Amsterdam, poi nel 2019 sono partita per un viaggio di ricerca ed esplorazione in Italia, che mi ha portata a fare diversi piccoli stage in vari ristoranti del nostro Bel Paese e a sviluppare la ricerca per un libro uscito nel 2020: Scarti d’italia, edito da Corraini.
Il libro racconta il viaggio in Italia a bordo di un furgone-casa mobile alla scoperta delle tradizioni gastronomiche e delle storie legate al quinto quarto, la cucina degli scarti, argomento da riscoprire se si vuole parlare di sostenibilità alimentare.
A partire da quel viaggio ho iniziato a cucinare e fare ricerca e divulgazione sui temi della biodiversità, dello spreco alimentare, delle tradizioni del riuso, di prodotti dimenticati e sostenibilità. La mia cucina è diventata geograficamente mobile, ho fatto residenze come chef in vari ristoranti in Europa e l’ultima esperienza è stata quella Toscana nell’agriturismo Follonico, che si sta concludendo proprio in queste settimane.
Ti definisci una nomade culinaria e una food researcher. Questo come ha influito sulla tua relazione con la dispensa?
Mi definisco una nomade culinaria perché negli ultimi anni mi sono trovata a cucinare in luoghi diversi, che mi hanno portata ad approfondire la ricerca su prodotti, modi di fare cucina e tradizioni diverse legate ai territori in cui mi trovavo. Ho avuto la fortuna di imparare ricette incredibilmente interessanti e di trovarmi esattamente nel luogo in cui potessi reperire i prodotti necessari. La mia dispensa si è allargata in termini di possibilità e ingredienti, è diventata in un certo senso una dispensa sentimentale, legata ad un contesto che per un periodo è stato casa. Ho l’olio di Fulvio, i pomodori secchi della Rossella, i capperi di Sambuco messi in conserva dalla signora Franca, l’olio piccante di Fabio, che si affiancano al finocchietto selvatico che ho raccolto in Provenza, alle rose essiccate acquistate a Marrakech, alle nocciole che ho trovato da un contadino nelle Langhe e che da quando ho finito non ho più trovato cosi buone.
Mi piace collezionare sia prodotti in cui mi imbatto, ma anche ricercare produzioni particolari, produttori che si battono per preservare tradizioni antiche o che lavorano secondo principi etici e sostenibili.
E qual è stato il ruolo della dispensa nella tua famiglia?
Devo essere sincera, nella mia famiglia si è sempre cucinato molto per il pasto in se. Mio papà era l’addetto ai fornelli, mia nonna, che abitava sotto di noi, aveva l’orto. In dispensa c’era tanta pasta, sempre una buona farina per la polenta, si conservava il pane vecchio per fare i canederli. Si mangiavano tante verdure fresche di stagione ma non ricordo vasetti di conserve e raramente si cucinava per “mettere via”.
Sei nata in Trentino, hai studiato architettura e design degli interni tra Venezia, Milano e Parigi, ora vivi ad Amsterdam ma al momento stai cucinando in Toscana, a Follonico. La tua dispensa riflette i tuoi spostamenti?
Diciamo che i continui spostamenti, anche per periodi relativamente brevi di qualche mese, hanno determinato la creazione di due dispense parallele: la dispensa di casa (ad Amsterdam) luogo del cuore, rifugio dopo i viaggi, il nido in cui conservo tutti tesori che raccolgo in giro, è il luogo in cui sento di avere tutto quello di cui ho bisogno, in cui cucino con amore; e poi c’è la dispensa portatile, ovvero quegli indispensabili che porto con me ovunque io vada. Sono il cotto di fichi che fa il papà di una cara amica pugliese, alcune varietà di pepe, di timur, pepe nero, il peperoncino Isot, leggermente affumicato. Porto sempre con me il sesamo tostato perché non e’ sempre facile da reperire, e anche i semi di nigella che adoro usare sulle insalate, un piccolo barattolo delle già citate rose essiccate. Porto sempre con me i miei aceti, ingrediente che adoro e che uso molto nella mia cucina: l’aceto di vino rosso per le marinature forti, quello di riso, un paio di buoni aceti balsamici, incluso un balsamico bianco che trovo molto delicato, l’aceto di mele. L’olio d’oliva di solito lo compro dove vado, un’occasione per assaggiarne di diversi.
Qual è l’ingrediente che proprio non può mancare nella tua dispensa ideale?
Nella mia cucina utilizzo molto i semi e la frutta oleosa: mandorle, nocciole, semi di zucca e di girasole, sesamo. Altrettanto non manca mai la frutta essiccata, datteri, fichi, uvetta; adoro il richiamo alla cucina mediorientale che utilizza la frutta disidratata negli stufati, accostata alle verdure, che poi si ritrova anche in molte cucine regionali italiane, penso al saor veneziano che mi piace fare vegetariano con la zucca o le zucchine, o i cous cous siciliani e in generale l’utilizzo dell’uvetta e degli agrumi in tante preparazioni.
Non so se si possa considerare dispensa, ma nella mia cucina non devono mai mancare erbe fresche, basilico, menta, coriandolo (che adoro), nasturzio, crescione, ma anche germogli, quelli di pisello per le insalate, e fiori eduli che non solo sono meravigliosi da vedere su un piatto, ma hanno sapori spiccati, a volte freschi come i fiori di borragine che ricordano i cetrioli, o quelli di begonia aciduli e croccanti.
Come cuoca in un farmer's restaurant che si appoggia molto sull’orto e sulla sua stagionalità, qual è il ruolo della dispensa nella tua cucina da Follonico?
A Follonico ho fatto un’esperienza unica che mai avevo avuto occasione di sperimentare prima, ovvero cucinare completamente a km0; il mio unico “supermercato” sono stati l’orto e qualche azienda agricola nel raggio di 15km. Questa è stata un’opportunità molto interessante e in alcuni periodi altrettanto impegnativa. Si è abituati ad usare molto quest’espressione, ma trovarsi ad applicarla alla lettera è tutt’altra cosa. Bisogna fare i conti con periodi molto floridi e ricchi di ortaggi e fasi di transizione in cui si può contare su pochi ingredienti e trovarsi a costruire un intero menu’ di ristorante non è cosa semplice.
Ecco che questo limite mi ha spinta a sperimentare con lavorazioni e conserve e un tipo di dispensa con la quale non mi ero mai confrontata: essiccazioni, fermentazioni, marinature e oli aromatici sono diventati ingredienti di supporto prezioso.
Ho incominciato ad essiccare erbe, o utilizzare parti di ortaggi che di solito vengono scartate, come la parte verde delle cipolle, i germogli dell’aglio, le foglie di vite o di fico, creare oli aromatici con la parte verde dei porri per esempio, a fermentare frutti ancora acerbi. In questo modo le possibilità di combinazioni sono aumentati e mi hanno permesso di creare piatti interessanti anche quando non avevo a disposizione una grande varietà di prodotti. Così al contrario, in momenti di sovrapproduzione di un determinato ortaggio, il trasformarlo in modo da preservarlo è stato il modo di conservare per stagioni successive i prodotti che altrimenti non si riuscirebbero a consumare.
È un procedimento logico che non ha nulla di innovativo, anzi, appartiene al modo di cucinare e di creare la dispensa nella tradizione agricola e contadina della nostra cultura, ma che negli ultimi decenni abbiamo perso e ora troviamo tutto sempre al supermercato, non ci curiamo di quanto rimane invenduto, di quanto non riusciamo a consumare e di quanto non arrivi nemmeno nella filiera del mercato perché scartato in partenza. Non sono una nostalgica del tempo che fu, ma coltivo la consapevolezza che un cambiamento sia necessario, che abbiamo sempre più possibilità, anche stando in città, di acquistare direttamente dei produttori e di adattare la nostra cucina a quello che è disponibile anziché a quello di cui abbiamo voglia e ritornare ad imparare “a fare dispensa” di quello che non riusciamo a consumare subito.
Qual è la tua ricetta preferita da fare con ingredienti da dispensa al ristorante e quale a casa?
Uno dei momento che amo di più nella giornata è sicuramente la colazione, ho il grande privilegio di poterla fare con calma. Preparo il caffè, che bevo con qualche biscotto inzuppato e poi preparo sempre uno yogurt con semi vari e frutta: nella mia dispensa ci sono sempre semi e cereali vari, miglio, farro, avena in fiocchi, e lo arricchisco con miele, altro ingrediente che non manca mai nella mia dispensa, frutta fresca e a volte qualche spezia.
Al ristorante ho iniziato ad usare moltissimo i fermentati, adoro soprattutto quelli di frutta acerba, che non essendo ancora molto zuccherina, rimangono aciduli al punto giusto e danno sempre un tocco pungente al piatto. Ho apprezzato particolarmente delle piccole susine verdi che ho fatto fermentare per circa due settimane e che sto usando ancora dopo quattro mesi.
L’arrivo di un bambino, Galileo, ha cambiato qualcosa tra gli scaffali della tua dispensa?
Durante lo svezzamento di Galileo ho alternato pappe di cereali, legumi e verdure schiacciate e pasti che si definirebbero autosvezzamento in cui lui mangiava a pezzi quello che mangiavamo noi. La dispensa è sempre stata ricca di cereali e legumi diversi, ed ho semplicemente fatto più attenzione ad accostarli e alternarli secondo linee guida nutrizionali più precise. Ho introdotto le creme di mandorla, di arachidi e di sesamo che prima non utilizzavo e che aggiungo ancora oggi alle merende e spuntini di frutta o yogurt. La varietà di formati di pasta si è ridotta notevolmente e ora nella nostra dispensa si trovano quasi esclusivamente fusilli (i preferiti di Galileo) e spaghetti, ma conto presto di ampliare di nuovo la selezione.
Una curiosità. Il tuo passato da architetto e grafico e il lavoro di tuo marito Luca, un illustratore, vi influenzano nella scelta di quello che finisce in dispensa? Dimmi che non sono l’unica che si fa convincere da un bel packaging!
Vabbe’, è un dato di fatto, alcuni packaging sono meravigliosamente irresistibili! Anche se, devo essere sincera, sfoghiamo le nostre fissazioni estetiche più in altri campi perché, come raccontiamo prima, ci piace prendere, quando è possibile, quelle cose home made che di etichette non ne vedono nemmeno l’ombra.
Per fortuna sempre di più prodotti di nicchia stanno rinnovando la propria immagine e hanno dei packaging e delle etichette bellissimi, che immancabilmente compriamo anche per tenere come riferimento per i lavori di grafica alimentare che facciamo insieme io e Luca, infatti ci capita spesso di curare l’immagine coordinata di un nuovo prodotto o di un nuovo locale legato al cibo: abbiamo recentemente lavorato a tutta l’immagine di una bellissima bottega alimentare a Roma e ora stiamo lavorando ad un marchio di olio extravergine di oliva. Luca si occupa dell’illustrazione e della grafica, io mi occupo del concept e della direzione creativa.
So che è in arrivo un nuovo libro. Ci racconti qualcosa?
Il nuovo libro in uscita dal titolo Scarti d’Italia 2, sarà come si può intuire, il seguito di quello già uscito. È frutto della ricerca raccolta nel nostro (mio e di Luca che anche questa volta ha realizzato tutte le illustrazioni) viaggio in Italia nel 2019, 11 mesi da Nord a Sud alla ricerca di tradizioni e modi di fare cucina senza scarti.
Questo nuovo capitolo parlerà di scarti vegetali, intesi non tanto come ciò che buttiamo, ma come quello che non consideriamo, la biodiversità nascosta e schiacciata dall’industria agroalimentare.
È un libro che parla dell'Italia come un giardino fertile in cui si usava (e per fortuna molte tradizioni permangono) molto più di quanto siamo abituati a considerare, cibi brutti, terrosi, bitorzoluti, infinite varietà di ortaggi a foglia verde, di radici, tuberi diversi che non siamo più abituati a distinguere, e ancora parti di piante che solitamente buttiamo ma che invece in alcune zone d’Italia vengono considerate delle prelibatezze. Abbiamo sentito ci fosse la necessita di divulgare queste informazioni, queste storie, questi modi di fare che spesso rimangono relegati in pratiche locali. È un catalogo illustrato di oltre 300 pagine con ricette tipiche raccolte nelle trattorie che ci hanno ospitati, dalle signore con cui abbiamo chiacchierato lungo la strada, nei ricettari tradizionali che ho consultato.
Parla di ortaggi, di funghi, di insalate, di erbe spontanee ed erbacce, con tanti contributi esterni interessanti che mi rendono orgogliosa di aver creato un discorso corale, che mette in risalto chi ha il coraggio di seguire una strada diversa da quella della grande distribuzione e del commercio con regole imposte dal mercato.
Vuole essere una piccola rivoluzione gentile sul nostro approccio al cibo, sul come e dove lo acquistiamo e come lo utilizziamo.
Ultima domanda, ci racconti una ricetta per fare qualcosa da tenere in dispensa?
Vi avrei voluto raccontare la ricetta delle susine acerbe fermentate, ma non essendo piu' in stagione la tengo per la prossima estate. Vi racconto invece come preparo le rape sottaceto; sono il tipico ortaggio snobbato, colpevole l'eccessivo utilizzo che se ne è fatto in passato, soprattutto in tempi di guerra, che le ha poi completamente declassate dal mercato. Mi ricordo bene mia nonna vedendomi cucinarle, esclamare "ah, rave..." con tono dispregiativo. Invece sono un ortaggio nobile, dal sapore delicato e pungente allo stesso tempo. Io le utilizzo in puree o nelle zuppe e perfino arrostite al forno sono buone.
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere dalla Toscana per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.